In uno dei suoi libri bellissimi dal titolo “Che cos’è un
bambino”, Beatrice Alemagna scrive “I bambini piangono forte, per farsi sentire
bene”.
E ha ragione.
I bambini piangono con i pugni serrati, con la gabbia
toracica spalancata e i sentimenti che scappano via da tutte le parti. Le
lacrime piovono a dirotto e noi lasciamo che ci inzuppino la faccia: da loro
non cerchiamo mai riparo.
Anche adesso che ho cinque anni e mezzo e sto per diventare
una sorellona maggiore con certe responsabilità, io piango forte e chiaro.
E non solo quando mi faccio male o quando sono arrabbiata,
piango in grande anche quando sono triste per un personaggio dei film o dei
cartoni animati, per quella cosa che la mamma dice si chiama empatia e tutto
questo vuol dire “commuoversi”.
Ecco, io mi commuovo fortissimo.
Come ieri ad esempio, quando stavamo guardando Big Hero 6 e
io l’avevo capito che Baymax non ce l’avrebbe fatta ed era una gran fregatura
perché tutti i cartoni dovrebbero avere un lieto fine e lo so che Hiro dopo lo
ricostruisce, ma non è la stessa cosa.
Così mi sono commossa con tutta la voce
che avevo in corpo e mi sono commossa per una buona mezz’ora.
E anche la Ragazza si è commossa, si capisce, ma lei si
commuove sempre in silenzio, poi scoppia a ridere, come a vergognarsi di quelle
lacrime.
Ma secondo me c’è poco da ridere, commuoversi è una cosa
seria.
E per fortuna ieri eravamo a casa e non al cinema, perché io
nelle sale do il meglio di me.
Al cinema piango tutte, tutte le volte.
È che in ogni storia arriva sempre il momento in cui il buono
deve affrontare il cattivo e le immagini diventano veloci e confuse, e sono
così grandi e i suoni così alti e prepotenti che mi entrano da tutte le parti e
tutte queste immagini e suoni e sentimenti ci stanno troppo stretti in un corpo
così piccolo e da qualche parte devono pur uscire, allora io li sciolgo in
grossissime lacrime e li butto fuori urlando, con la gente che si strozza con i
popcorn e tutti che si girano verso di noi.
Mia madre allora fa strane smorfie per minimizzare, cercando
di tranquillizzare i curiosi “non è niente, adesso passa, è solo il momento
clou”.
Allora io mi chiedo quando arriva quell’età.
Quando arriva quel momento in cui il pianto perde la voce.
Che avrebbe tanto da dire e invece sta zitto.
Quando compare il termine “sommessamente” e le lacrime
cominciano a scendere afone e impercettibili, scacciate via sul nascere con un
gesto.
Un gesto da poco, come a dire “non è niente, adesso passa, è solo il
momento clou”.
Illustrazione di Beatrice Alemagna "Che cos'è un bambino". |